abstract N 79 : 2-3
Elena Lea Bartolini De Angeli, A proposito di precetti
Se è noto che i precetti nell’ebraismo sono 613, sono invece meno noti il modo e le dinamiche con cui la tradizione ha fissato tale numero distinguendo al suo interno precetti positivi, cioè azioni da compiere, e precetti negativi, ovvero azioni da non compiere. Ripartendo dal rapporto fra rivelazione scritta e orale, si precisa qual è lo scopo delle mitzwoth, dei precetti, per poi prendere in esame le fonti rabbiniche nelle quali si attesta che sono 613. Analizzando le ragioni per cui si indica questo numero si rileva che, di fatto, viene ricondotto simbolicamente alle parti del corpo umano per sottolineare l’importanza di un’adesione integrale agli insegnamenti rivelati. Su tale base si ripropongono alcuni momenti del dibattito tradizionale volto a mostrare come il riferimento al numero 613 non sia assoluto e immutabile: le fonti rabbiniche stesse riportano conteggi diversi ancorandoli a passi biblici di supporto, inoltre, autorevoli maestri insistono sul fatto che più che il numero deve prevalere la motivazione che spinge a mettere in pratica quanto rivelato al Sinai, e questo perché chi compie anche solo un precetto per amore di Dio e senza secondi fini merita comunque il Mondo Avvenire. Su tali questioni è in corso oggi un vivace dibattito fra le correnti dell’ebraismo ortodosso e progressivo.
Elena Lea Bartolini De Angeli, Talking of Statutes
While it is a well-known fact that the statutes in Hebraism are 613, the way and the dynamics tradition used to fix that number – distinguishing positive statutes, that is acts to be performed, from negative statutes, that is actions not to be performed – are not well-known. Starting from the relationship between written and oral revelation, this essay specifies the aim of mitzwoth, the statutes, and then examines the rabbinical sources, which specify that they are 613. The reasons of this number are analysed and it is pointed out that this number refers symbolically to the parts of the human body, highlighting the importance of a total adhesion to the revealed teachings. On that basis, some moments of the traditional debate are offered, in order to show that the reference to num- ber 613 is not absolute and unchangeable: even rabbinical sources report different calculations, based on biblical passage which support their theory; be-sides, influential masters insist upon the fact that – rather than the number – it is the motivation that should drive one to put into practice what was revealed on Mount Sinai, because whoever performs even one statute for the love of God and without a second purpose deserves the World to Come. A lively debate is taking place today on this subject between the currents of orthodox and progressive Hebraism.
Ariel Di Porto, Rashì, il commentatore della Torah
Rashì (1040-1105) è notoriamente il principale commentatore della Bibbia ebraica e del Talmud. Negli ultimi anni gli studiosi hanno scritto molto su Rashì e sulla sua scuola, restituendo un’immagine di un medioevo ebraico molto più vivace rispetto a quanto si pensasse abitualmente. La società ebraica, poco prima della terribile ferita delle crociate, è in costante contatto e spesso in polemica con la società circostante cristiana. Nei suoi commenti Rashì persegue diversi scopi, inaugurando un filone interpretativo che troverà enorme seguito, sino al giorno d’oggi.
Ariel Di Porto, Rashì, the Commentator of the Torah
Rashì (1040-1105) is notoriously the principal commentator of the Hebrew Bible and of the Talmud. In the last few years, scholars have dedicated many writings to Rashi and to his school, showing that the Hebraic Middle Ages were much more lively than what is usually thought. The Hebraic society, shortly before the terrible wound of the crusades, was in constant touch and often in dis- agreement with the surrounding Christian society. In his comments, Rashi pursues different aims, inaugurating a trend of interpretation that would be followed, up to the present day.
Fulvio Ferrario, Profana e benedetta. Appunti per una teologia della creazione
L’articolo discute, in dialogo con alcuni esiti della recente ricerca biblica, aspetti di rilievo del recente dibattito teologico sulla creazione, tra i quali: le responsabilità della tradizione ebraico-cristiana nella genesi dell’attuale crisi ecologica; la crisi della fiducia nell’homo faber; la ricezione teologica dell’«ipotesi Gaia»; la questione dell’«antropocentrismo» e le sue articolazioni. L’orizzonte, classico e al tempo stesso creativo, della «profanità benedetta del creato» viene individuato come paradigma teologico che, da un lato, rende giustizia all’odierna domanda etica, dall’altro preserva il pensiero cristiano da derive di tipo direttamente o indirettamente irrazionalista.
Fulvio Ferrario, Profane and Blessed. Notes for a Theology of Creation
This Article debates, on the basis of some recent results of biblical research, some important points of the recent theological debate on creation, such as: the responsibility of the Hebraic-Christian tradition on the origin of the present ecological crisis; the crisis of faith in homo faber; the acceptance of the “Gaia hy- pothesis”; the question of “Anthropocentrism” and its branches. The classical and at the same creative idea of the “blessed profanity of Creation” is indicated as the theological paradigm which, on the one hand, gives justice to the present ethical requirement, on the other hand preserves Christian thought from directly or indirectly irrational deviations.
Irmtraud Fischer, Alte Texte – neue Fragen – überraschende Antworten Auf den Spuren des „dritten Geschlechts“ in der hebräischen Bibel [Testi vecchi – domande nuove – risposte sorprendenti. Sulle tracce del «terzo genere» nella Bibbia ebraica]
L’articolo analizza se il concetto di un sistema sessuale solo binario e il monopolio dell’eterosessualità ha il fondamento già nella Bibbia ebrea. Si trovano tracce di più di due sessi in Deuteronomio 23,2f. e in Isaia 56,3. Genesi 1,26 può essere interpretato nel suo contesto come presentazione di tutte le opere della creazione con la figura del merismo: maschile e femminile e tutte le varianti del sesso e della orientazione sessuale sono create. Soprattutto le narrazioni su Rut e Noemi e anche su Davide e Jonatan possono essere interpretate come rapporti omosessuali.
Irmtraud Fischer, Old Texts – New Questions – Surprising Answers. On the Traces of the “Third Gender” in the Hebraic Bible
This Article analyses whether the concept of an only binary sexual system and the monopoly of heterosexuality is already founded on the Hebraic Bible. Traces of more than two sexes can be found in Deuteronomy 23.2f. and in Isaiah 56.3. Genesis 1.26 can be interpreted, in its context, as a presentation of all the works of Creation with the figure of Merism: male and female and all the variants of sex and sexual orientation are created. Above all, the narratives of Ruth and Naomi – and also David and Jonathan – can be interpreted as homo- sexual relationships.
Marco Fornerone, «Let my people go!». I verbi dell’esodo e la formazione del Pentateuco
Questo articolo si inserisce nel dibattito attuale sulla formazione del Pentateuco, concentrandosi sulla questione della delimitazione della versione originale del racconto dell’esodo, ritenuta da molti autori una delle unità a partire dalle quali tale processo di formazione ha preso le mosse. Lo studio si concentra sull’aspetto lessicale, approfondendo la semantica del piel del verbo šālaā che ricorre nell’espressione «lascia andare il mio popolo», confrontandone anche l’utilizzo in altri testi. I risultati di tale analisi, che mostrano la caratteristica as- senza di destinazione per l’azione descritta da tale verbo, costituiscono un argomento indipendente a sostegno dell’ipotesi di un racconto originale senza conquista, come proposto da diversi autori.
Marco Fornerone, «Let My People Go!». The Verbs of Exodus and the Formation of Pentateuch
This article takes part in the current debate on the formation of the Pentateuch, focusing on the delimitation of the original version of the Exodus narrative, considered by many authors to be one of the units this process of formation began with. The study focuses on the lexical aspect, delving into the semantics of the verb šālaḥ that recurs in the expression “let my people go”, also comparing its use in other texts. The results of this analysis, which show the characteristic absence of destination for the action described by the verb, constitute an independent argumentation in support of the hypothesis of an original narrative without conquest, as suggested by several authors.
Pawel Gajewski, Isaia 2,1-5 nel contesto del dialogo interreligioso e interculturale
Partendo da una dettagliata analisi esegetica e teologica del testo Isaia 2,1- 5, l’articolo affronta tre concetti principali: il pellegrinaggio, la tensione dialettica tra fede e religione e la pace (shalom). Il profeta Isaia si muove in una prospettiva universalistica in cui la città di Gerusalemme assume il ruolo centrale. Considerata l’epoca storica della composizione del testo si tratta di una visione profetica che precorre i tempi e assomiglia in modo sorprendente ai messaggi del cosiddetto Terzo Isaia (capp. 56-66). La seconda parte del saggio disegna alcune traiettorie omiletiche e i loro possibili risvolti di attualità, sia teologici, sia sociopolitici. Tra questi risvolti due argomenti assumono un ruolo di rilievo. Il primo è la città di Gerusalemme, un luogo di incontro tra culture e religioni e al tempo stesso un luogo di molteplici conflitti. Il secondo riguarda le migrazioni, un fenomeno planetario che produce cambiamenti senza precedenti storici. In tale contesto la visione profetica di Isaia torna a rivivere: un unico popolo di diverse culture e lingue in cui le identità di ciascuno sono rispettate ma insieme trascese in quanto tutte protese verso un unico regno di Dio.
Pawel Gajewski, Isaiah 2.1-5 in the Context of the Interreligious and Intercultural Dialogue
Starting from a detailed exegetic and theological analysis of Isaiah 2.1-5, the Article analyses three principal concepts: pilgrimage, dialectic tension between faith and religion and peace (shalom). The prophet Isaiah moves in a universalistic perspective in which the city of Jerusalem has the main role. If we consider the historical time when the text was written, this is a prophetic vision which anticipates times and surprisingly resembles the messages of the so-called Third Isaiah chapters 56-66). The second part of the essay draws some homiletic routes and some possible connections to the present situation, both theological and socio-political. Among these connections, two are particularly relevant. The first is the city of Jerusalem, a place of encounter among different cultures and religions, and at the same time a place of many conflicts. The second regards migrations, a planetary phenomenon which produces changes never happened before. In such a context, the prophetic vision of Isaiah comes to life again: one people of different cultures and languages in which the identity of each person is respected, but at the same time transcended because everyone is projected towards one kingdom of God.
Ermanno Genre, Capisci quello che leggi? L’Antico testamento in omiletica
Come funziona la relazione tra i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in vista della predicazione cristiana? L’articolo presenta alcuni modelli utilizzati in ambito omiletico per situare la relazione tra i due Testamenti, in particolare il modello di «analogia strutturale» e di «analogia delle situazioni». In tempi recenti, la semiotica ha offerto nuovi orizzonti anche per la ricerca omiletica sia in ambito protestante sia in ambito cattolico. L’articolo conclude con alcuni brevi accenni a un recente testo «ecumenico» di omiletica che ha visto la luce in ambito francofono.
Ermanno Genre, Do You Understand What You Are Reading? The Old Testament in Homiletics
How does the relationship between the texts of the Old and New Testament work vis-à-vis Christian preaching? This Article offers some models used in homiletics to place the relationship between the two Testaments, in particular the model of “structural analogy” and “analogy of the situations”. In recent times, Semiotics has offered new horizons also for a homiletics research both in Protestant and Catholic contexts. At the end of the article, some brief notes are given to a recent “ecumenical text” of homiletics which came out in a French speaking context.
Jutta Hausmann, Ambiguität von Sprache als bewusstes Stilmittel am Beispiel von Psalm 41 [L’ambiguità del linguaggio come espediente stilistico consapevole. L’esempio del Sal. 41]
Come sovente si può osservare nei testi biblici, alcune formule ebraiche obbligano l’esegeta a prendere difficili decisioni su quale interpretazione scegliere, cosa che è evidente sia dall’ampia diversità di traduzioni disponibili sia dal- le diverse e talvolta contraddittorie interpretazioni offerte. Un’analisi più attenta del Sal. 41 porta alla conclusione che l’ambiguità sintattica, in particolare, è un espediente stilistico deliberato e, di conseguenza, fin dall’inizio si pone un problema di comprensione e di adattamento.
Jutta Hausmann, The Ambiguity of the language as a Conscious Stylistic Ex- pedient. The Example of Psalm 41
As we can often notice in biblical texts, some Hebraic formulas oblige the exegete to make difficult decisions on which interpretation to choose, due to the ample diversity of the translations available and the different and sometimes contradicting interpretations available. A more careful analysis of Psalm 41 brings one to the conclusion that syntactic ambiguity, in particular, is a deliberate stylistic expedient and, consequently, the problem of comprehension and adaptation arise from the very beginning.
Corinne Lanoir, Mangiare e bere: un’attività teologica
Il cibo e i pasti occupano un posto molto importante nell’Antico Testamento: rappresentano una parte fondamentale della vita quotidiana, dove si formano e si sciolgono relazioni di ogni tipo, dall’ospitalità alla violenza. Sono anche un mezzo attraverso il quale le persone vengono incluse o escluse da un gruppo e costituiscono uno dei momenti chiave nella costruzione di un’identità. Luoghi di felicità e di conflitto, spontanei o preparati con cura, rivelano l’ambivalenza della vita quotidiana. Mentre a volte mostrano e denunciano gli abusi di potere, i pasti possono anche essere una promessa di gioia e di giustizia, come memoria e manifestazione di un Dio che nutre e libera. Girando fra i tavoli dove le donne invitano o sono invitate si scoprono strategie diverse di presa di potere, contestazione o integrazione.
Corinne Lanoir, Eating and Drinking: A Theological Activity
Food and meals have a very important place in the Old Testament: they cover an important part of everyday life, where relationships of any kind are formed or broken, from hospitality to violence. They are a means through which people are included or excluded from a group and are one of the key moments in the building of an identity. Places of happiness and of conflict, spontaneous or pre- pared with care, they reveal the ambivalence of everyday life. While sometimes they show and denounce the abuses of power, meals can also be a promise of joy and justice, as a memory and manifestation of a God who feeds and liberates. Moving around the tables where women invite or are invited, one discovers different strategies of taking power, opposition or integration.
Luca Mazzinghi, «Il giusto viene ripagato sulla terra». Prov. 11,31 tra l’interpretazione di Filippo Melantone e l’esegesi contemporanea
In questo articolo viene affrontato il tema dell’esegesi di Prov. 11,31 alla luce del commento al libro dei Proverbi pubblicato nel 1555 da Filippo Melantone, da poco disponibile in traduzione inglese. Nella traduzione latina offerta da Melantone, Prov. 11,31 è così riportato: cum iustus in terra persolvat, quanto magis impius et peccator? Il commento melantoniano interpreta questo proverbio alla luce dell’idea della retribuzione, ma anche di quella della provvidenza divina. La seconda parte di questo studio mette in evidenza la comprensione di Prov. 11,31 nella prospettiva aperta dell’esegesi contemporanea, in particolare all’interno del dibattito iniziato da K. Koch circa la presenza o meno nel libro dei Proverbi di un nesso tra azione e sue conseguenze (Tun – Erghen – Zusammenhang). La prospettiva propria dell’esegesi contemporanea viene così messa a confronto con quella melantoniana. Infine, lo studio affronta il tema della teologia della croce, alla luce della quale Melantone legge questo proverbio, come del resto l’intero libro. L’articolo si chiude con alcune considerazioni circa l’attualità di questo proverbio biblico.
Luca Mazzinghi, «The Righteous Shall Be Recompensed in the Earth». Prov.11.31 Between the Interpretation of Philip Melanchthon and contemporary Exegesis
This Article deals with the exegesis of Proverbs 11.31 in the light of the comment to the Book of Proverbs published in 1555 by Philip Melanchthon, which is now available in an English translation. In the Latin translation offered by Melanchthon, Pr. 11.31 is reported thus: cum iustus in terra persolvat, quanto magis impius et peccator? Melanchthon’s comment interprets this proverb in the light of the idea of retribution, but also of divine Providence. The second part of this Article highlights the comprehension of Pr.11.31 in the perspective of con- temporary exegesis, in particular in the debate started by K. Koch about the presence, or absence, in the Book of Proverbs of a connection between an action and its consequences (Tun – Erghen – Zusammenhang). The present perspective of exegesis is thus compared with the one given by Melanchthon. Finally, the Article talks about the Theology of the cross, in the light of which Melanchthon reads this proverb, as well as the rest of the book. The Article is concluded with some considerations about the importance of this biblical proverb today.
Paolo Naso, Corridoi umanitari, tra diaconia politica e sussidiarietà
La sfida che sta di fronte alla diaconia delle chiese evangeliche consiste nel trovare la propria postura di fronte al principio costituzionale di sussidiarietà che, alla luce delle scelte di questi anni, si può interpretare in termini assai diversi e persino conflittuali. In coerenza con la critica alla «surroga» delle funzioni statali nella gestione dei servizi e del welfare, più volte espressa dal mondo evangelico, non deve esprimersi come sottrazione del ruolo e delle risorse del soggetto pubblico ma come interazione sinergica e aggiuntiva a sostegno dei soggetti più deboli e, nel caso specifico, dei migranti e dei richiedenti asilo.
Paolo Naso, Humanitarian Corridors, between Diakonia and Subsidiarity
The challenge that faces diaconate in the Protestant churches consists in finding their position vis-à-vis the constitutional principle of Subsidiarity, which in the choices made in the last few years, can be interpreted in quite different, and even conflictual terms. In coherence with the critique to the “substitution” of the state functions in the managing of the services and welfare, which has often been expressed by the Protestant world, should not be considered as a subtraction of the role and resources of the public power but as a synergic ad additional inter- action to support the weakest subjects and, in the specific case, of migrants and asylum seekers.
Eric Noffke, I Enoch: un baluardo o un ponte tra il giudaismo e l’ellenismo?
Se oggi si dà per acquisita l’ellenizzazione della Giudea già da prima dello scoppio della rivolta dei Maccabei, si discute ancora quanto questa sia stata profonda e quali fasce della popolazione abbia riguardato. Studiando alcuni brani del Primo Libro di Enoc si può raccogliere la testimonianza di un gruppo ebraico la cui teologia, risalente all’epoca persiana e alternativa a quella espressa nella Torah mosaica, non sembra essere né interessata al confronto con la cultura greca, né da essa influenzata. Gli invasori macedoni vengono percepiti, dall’inizio della loro presenza in Giudea (fine iv secolo a.C.) fino all’epoca dell’arrivo dei romani alla fine del i secolo a.C. soltanto come uno dei vari imperi che hanno occupato e oppresso Israele, annunciandone il giudizio e la distruzione alla fine dei tempi, insieme alla classe dirigente ebraica al potere a Gerusalemme.
Eric Noffke, I Enoch: a Bulwark or a Bridge between Judaism and Hellenism?
While today the Hellenization of Judea is taken for granted even before the outbreak of the Maccabean rebellion, it is still debated how profound this was and which sections of the population it affected. By studying passages from the First Book of Enoch, one can gather evidence of a Jewish group whose theology, dating back to Persian times and alternative to that expressed in the Mosaic Torah, appears to be neither interested in a comparison with Greek culture nor influenced by it. The Macedonian invaders are perceived, from the beginning of their presence in Judea (late 4th century B.C.) until the time of the arrival of the Romans at the end of the 1st century B.C., only as one of several empires that occupied and oppressed Israel, heralding its judgment and destruction at the end of time, along with the Jewish ruling class in Jerusalem.
Yann Redalié, Gesù profeta (Luca 4,16-30)
Se il genere vangelo è paragonabile alla biografia, J.-N. Aletti ci ricorda che le biografie, allora, erano giustificate dall’ampio riconoscimento del valore del protagonista: condottiero, filosofo, oratore – uomo illustre. Per questo, la sfida per il narratore del vangelo è mostrare che il valore salvifico e unico di Gesù, nelle sue azioni e nel suo insegnamento, non è contraddetto dalle sofferenze patite e dalla morte ignominiosa sulla croce. Come interpretare il contrasto tra il seguito di folle durante il suo ministero e la fine infamante, abbandonato per- sino dai suoi? Luca si riferisce alla figura del profeta, la cui sorte, malgrado un ampio riconoscimento, è di essere rifiutato dai suoi. Nella predicazione inaugurale di Gesù a Nazareth (Luca 4,16-30), il compimento della profezia dell’inviato e della sua missione di liberazione secondo Is. 61,1 s. è, prima di tutto, proclamato «oggi» da Gesù, poi precisato nelle sue modalità, riferendosi all’intervento profetico fuori da Israele di Elia, che permette alla vedova di Sarepta di affrontare la carestia, e di Eliseo, che guarisce dalla lebbra Naaman il Siro. Gesù profeta, anche «oltre confine» come i due grandi profeti dell’antica alleanza, viene rifiutato dalla gente della sua patria e la sua vita minacciata fin dall’inizio del suo ministero.
Yann Redalié, Jesus the Prophet (Luke 4.16-30)
If gospel as a genre can be compared to biography, J.-N. Aletti reminds us that biographies, in those days, were justified by the recognizance of the great value of the protagonist: warrior, philosopher, orator – an illustrious man. That is why the challenge, for the narrator of the gospel, is to show that the salvific and unique value of Jesus, both in his actions and his teaching, is not contradicted by his sufferings and his ignominious death on the cross. How can we interpret the contrast between the crowds who followed him during his minis- try and the infamous end, when he was abandoned even by his closest friends? Luke refers to the figure of the prophet whose destiny, even though he is highly recognized, is to be rejected by his followers. In his inaugural preaching of Jesus in Nazareth (Luke 4.16-30), the completion of the prophecy of the envoy and his mission of liberation according to Isaiah 61.1f is, first of all, proclaimed “to- day” by Jesus, then detailed in its modes, referring to the prophetic action out- side Israel by Elijah, who enables the widow of Zarephath to tackle the famine, and of Elisha who cures from leprosy Naaman the Syrian. Jesus as a prophet, even “abroad” like the two great prophets of the Old Alliance, is rejected by the people in his own country from the very beginning of his ministry.
Elisabetta Ricci, Il «volto di Dio»: espressione antica che attraverso i secoli vive nella preghiera
Le espressioni legate al «volto di Dio», dalle origini molto antiche e diffusa- mente utilizzate nell’ambito dell’Antico Vicino Oriente, possono colpire all’interno della Bibbia, eppure sono ampiamente presenti nei testi biblici, tra cui il Libro dei Salmi. Nella maggior parte delle ricorrenze esaminate in questo Libro, che rappresenta un testo fondamentale di preghiera, prevale l’aspetto positivo di favore nei confronti di coloro che confidano in Dio. Queste espressioni, infatti, mostrano la «presenza» di Dio che entra in relazione con l’uomo offrendogli aiuto, protezione e vita.
Elisabetta Ricci, The“Face of God”: an Old Expression which Has Survived through the Centuries and Still Lives in Prayers
The expressions connected with the ‘face of God’, which has very ancient origins and was widely used in the Ancient Near East, may sound striking in the Bible, yet they are widely present in biblical texts, including the Book of Psalms. In most of the occurrences examined in this Book, which is a fundamental text of prayer, the positive aspect of favouring those who trust in God prevails. These expressions, in fact, show the ‘presence’ of God who enters into relationship with man, offering him help, protection and life.
Sergio Rostagno, Bibbia e dogma
L’articolo sottolinea l’unità del messaggio biblico intero e del «dogma» cristiano. La chiave di questo discorso risalta anche nella ricerca teologica di Martin Lutero. Per esempio, nel confronto tra Giovanni il Battista e Gesù. Lutero tratta il popolo dell’Antico Testamento come vittima cui si annuncia la liberazione. Infine, l’articolo si riferisce all’attualità politica. La democrazia, sulla scia del messaggio religioso, rende ragione di un mondo da salvare da sprechi e as- soluti che rischiano di portare alla rovina del genere umano. Bibbia, dogma e attualità indicano un territorio comune. Sono i filoni di un discorso che si giova anche degli apporti del docente cui è dedicato questo fascicolo della rivista.
Sergio Rostagno, Bible and Dogma
The Article underlines the unity of the whole biblical message and the Christian “Dogma”. The key of this matter is present also in the theological research of Martin Luther. For instance, in the comparison between John the Baptist and Jesus. Luther treats the people of the Old Testament as a victim to whom liberation is announced. Finally, the Article refers to present politics. Democracy, in the wake of the religious message, explains the world which should be saved from waste and the absolutes which risk to lead the human gender to ruin. The Bible, Dogma and current affairs indicate a common territory. They are the parts of a matter which find benefit from the work of the teacher to whom this num- ber of the review is dedicated.
Jean Louis Ska, «Scruta bene le Scritture» piuttosto che la tradizione. I caraiti, precursori dei Riformatori?
Accanto alla scuola di esegesi rabbinica più conosciuta, quella del Midrash, della Mišnah e del Talmud, e spesso chiamata scuola rabbanita, esiste una scuola più discreta, quella dei caraiti. Vi sono molti punti oscuri a proposito della sua origine, però le sue caratteristiche sono abbastanza conosciute. Nelle discussioni, i caraiti si distinguono dai rabbaniti nel loro ricorso alla Scrittura piuttosto che alle opinioni dei rabbini. I caraiti sono anche i primi interpreti ebrei ad avere scritto veri commentari delle Scritture. Dopo un breve riassunto sulla questione dell’origine del caraismo, presentiamo alcuni esempi della loro esegesi: Gen. 11,32: Tera era deceduto quando Abramo riceve la sua chiamata in Gen. 12,1-3? Gen. 12,17-19: chi avvisa il faraone che le piaghe che lo colpiscono sono un castigo divino perché ha preso Sara nel suo harem, e che Sara è moglie e non sorella di Abramo? Gen. 18,8: dove sono le focacce che Abramo ha chiesto a Sara di preparare? Gen. 39: come integrare la storia di Tamar e Giuda nella storia di Giuseppe? L’esegesi caraita ha avuto un grande influsso, anche sui suoi avversari che hanno dovuto usare gli stessi metodi per rispondere alle loro critiche.
Jean Louis Ska, “Read the Scriptures Well” Rather than Tradition. Are the Karaites to Be Considered as Precursors of the Reformers?
Besides the best known school of rabbinic exegesis, Midrash, often called Rabbanite School – there is another, less known school, the Karaites. There are many obscure points regarding its origin, but Karaites are distinguished from Rabbanites in that they recur directly to the Scriptures rather than to the opinion of rabbis. The Karaites are also the first Jewish interpreters to have written real commentaries of the Scriptures. After a short summary of the question of the origin of Karaism, the Author introduces some examples of their exegesis: Gen.11.32: Had Terah already died when Abraham received his call in Gen. 12.1- 3? Gen. 12.17-19: Who warns the Pharaoh that the plagues who strike him are a divine punishment because he took Sarah in his harem, and that Sarah is Abra- ham’s wife and not his sister? Gen. 18.8: where are the cakes that Abraham asked Sarah to prepare? Gen. 39: how should the story of Tamar and Judah be insert-ed into the story of Joseph? The exegesis of the Karaites had a big influence, also on their opponents who had to use the same methods in order to respond to their critiques.
Lothar Vogel, L’Antico Testamento nell’epoca della neologia: Johann Salomo Semler e Johann Joachim Spalding
Questo articolo illustra la lettura teologicamente «liberale» dell’Antico Testamento adottata da Johann Salomo Semler e Johann Joachim Spalding al tempo del re Federico II di Prussia. La necessità di un tale approccio fu dovuta alla decostruzione del concetto spazio-temporale del mondo stabilito dal canone biblico. Entrambi i teologi si focalizzano sui testi sapienziali e profetici, adatti a interpretazioni moralistiche o interiorizzanti. L’idea della «storia della salvezza», d’altra parte, entra in crisi a causa della trasformazione illuministica del concetto di storia. Infine, il modo in cui entrambi continuarono a comunicare luoghi comuni e pregiudizi antisemiti resta ancora oggi un monito per ogni attività teologica e omiletica
Lothar Vogel, The Old Testament at the Time of Neology: Johann Salomo
This essay illustrates the theologically ‘liberal’ reading of the Old Testament, which was adopted in the time of King Frederick II of Prussia by Johann Salomo Semler and Johann Joachim Spalding. The need for such an approach arose due to the deconstruction of the chronological-spatial concept of the world established by the biblical canon. Both theologians tended to focus on wisdom and prophetic texts, suitable for moral or internalising interpretations. The idea of ‘salvation history’, on the other hand, comes into crisis due to the Enlightenment transformation of the concept of history. Finally, the way in which both continued to convey anti-Jewish commonplaces and prejudices can still be a warning for theological and homiletic activity.