abstract N 79 : 2-3

Elena Lea Bartolini De Angeli, A proposito di precetti

Se è noto che i precetti nell’ebraismo sono 613, sono invece meno noti il modo e le dinamiche con cui la tradizione ha fissato tale numero distinguendo al suo interno precetti positivi, cioè azioni da compiere, e precetti negativi, ovvero azioni da non compiere. Ripartendo dal rapporto fra rivelazione scritta e orale, si precisa qual è lo scopo delle mitzwoth, dei precetti, per poi prendere in esame le fonti rabbiniche nelle quali si attesta che sono 613. Analizzando le ragioni per cui si indica questo numero si rileva che, di fatto, viene ricondotto simbolicamente alle parti del corpo umano per sottolineare l’importanza di un’adesione integrale agli insegnamenti rivelati. Su tale base si ripropongono alcuni momenti del dibattito tradizionale volto a mostrare come il riferimento al numero 613 non sia assoluto e immutabile: le fonti rabbiniche stesse riportano conteggi diversi ancorandoli a passi biblici di supporto, inoltre, autorevoli maestri insistono sul fatto che più che il numero deve prevalere la motivazione che spinge a mettere in pratica quanto rivelato al Sinai, e questo perché chi compie anche solo un precetto per amore di Dio e senza secondi fini merita comunque il Mondo Avvenire. Su tali questioni è in corso oggi un vivace dibattito fra le correnti dell’ebraismo ortodosso e progressivo.

Ariel Di Porto, Rashì, il commentatore della Torah

Rashì (1040-1105) è notoriamente il principale commentatore della Bibbia ebraica e del Talmud. Negli ultimi anni gli studiosi hanno scritto molto su Rashì e sulla sua scuola, restituendo un’immagine di un medioevo ebraico molto più vivace rispetto a quanto si pensasse abitualmente. La società ebraica, poco prima della terribile ferita delle crociate, è in costante contatto e spesso in polemica con la società circostante cristiana. Nei suoi commenti Rashì persegue diversi scopi, inaugurando un filone interpretativo che troverà enorme seguito, sino al giorno d’oggi.

Fulvio Ferrario, Profana e benedetta. Appunti per una teologia della creazione

L’articolo discute, in dialogo con alcuni esiti della recente ricerca biblica, aspetti di rilievo del recente dibattito teologico sulla creazione, tra i quali: le responsabilità della tradizione ebraico-cristiana nella genesi dell’attuale crisi ecologica; la crisi della fiducia nell’homo faber; la ricezione teologica dell’«ipotesi Gaia»; la questione dell’«antropocentrismo» e le sue articolazioni. L’orizzonte, classico e al tempo stesso creativo, della «profanità benedetta del creato» viene individuato come paradigma teologico che, da un lato, rende giustizia all’odierna domanda etica, dall’altro preserva il pensiero cristiano da derive di tipo direttamente o indirettamente irrazionalista.

Irmtraud Fischer, Alte Texte – neue Fragen – überraschende Antworten Auf den Spuren des „dritten Geschlechts“ in der hebräischen Bibel [Testi vecchi – domande nuove – risposte sorprendenti. Sulle tracce del «terzo genere» nella Bibbia ebraica]

L’articolo analizza se il concetto di un sistema sessuale solo binario e il monopolio dell’eterosessualità ha il fondamento già nella Bibbia ebrea. Si trovano tracce di più di due sessi in Deuteronomio 23,2f. e in Isaia 56,3. Genesi 1,26 può essere interpretato nel suo contesto come presentazione di tutte le opere della creazione con la figura del merismo: maschile e femminile e tutte le varianti del sesso e della orientazione sessuale sono create. Soprattutto le narrazioni su Rut e Noemi e anche su Davide e Jonatan possono essere interpretate come rapporti omosessuali.

Marco Fornerone, «Let my people go!». I verbi dell’esodo e la formazione del Pentateuco

Questo articolo si inserisce nel dibattito attuale sulla formazione del Pentateuco, concentrandosi sulla questione della delimitazione della versione originale del racconto dell’esodo, ritenuta da molti autori una delle unità a partire dalle quali tale processo di formazione ha preso le mosse. Lo studio si concentra sull’aspetto lessicale, approfondendo la semantica del piel del verbo šālaā che ricorre nell’espressione «lascia andare il mio popolo», confrontandone anche l’utilizzo in altri testi. I risultati di tale analisi, che mostrano la caratteristica as- senza di destinazione per l’azione descritta da tale verbo, costituiscono un argomento indipendente a sostegno dell’ipotesi di un racconto originale senza conquista, come proposto da diversi autori.

Pawel Gajewski, Isaia 2,1-5 nel contesto del dialogo interreligioso e interculturale

Partendo da una dettagliata analisi esegetica e teologica del testo Isaia 2,1- 5, l’articolo affronta tre concetti principali: il pellegrinaggio, la tensione dialettica tra fede e religione e la pace (shalom). Il profeta Isaia si muove in una prospettiva universalistica in cui la città di Gerusalemme assume il ruolo centrale. Considerata l’epoca storica della composizione del testo si tratta di una visione profetica che precorre i tempi e assomiglia in modo sorprendente ai messaggi del cosiddetto Terzo Isaia (capp. 56-66). La seconda parte del saggio disegna alcune traiettorie omiletiche e i loro possibili risvolti di attualità, sia teologici, sia sociopolitici. Tra questi risvolti due argomenti assumono un ruolo di rilievo. Il primo è la città di Gerusalemme, un luogo di incontro tra culture e religioni e al tempo stesso un luogo di molteplici conflitti. Il secondo riguarda le migrazioni, un fenomeno planetario che produce cambiamenti senza precedenti storici. In tale contesto la visione profetica di Isaia torna a rivivere: un unico popolo di diverse culture e lingue in cui le identità di ciascuno sono rispettate ma insieme trascese in quanto tutte protese verso un unico regno di Dio.

Ermanno Genre, Capisci quello che leggi? L’Antico testamento in omiletica

Come funziona la relazione tra i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in vista della predicazione cristiana? L’articolo presenta alcuni modelli utilizzati in ambito omiletico per situare la relazione tra i due Testamenti, in particolare il modello di «analogia strutturale» e di «analogia delle situazioni». In tempi recenti, la semiotica ha offerto nuovi orizzonti anche per la ricerca omiletica sia in ambito protestante sia in ambito cattolico. L’articolo conclude con alcuni brevi accenni a un recente testo «ecumenico» di omiletica che ha visto la luce in ambito francofono.

Jutta Hausmann, Ambiguität von Sprache als bewusstes Stilmittel am Beispiel von Psalm 41 [L’ambiguità del linguaggio come espediente stilistico consapevole. L’esempio del Sal. 41]

Come sovente si può osservare nei testi biblici, alcune formule ebraiche obbligano l’esegeta a prendere difficili decisioni su quale interpretazione scegliere, cosa che è evidente sia dall’ampia diversità di traduzioni disponibili sia dal- le diverse e talvolta contraddittorie interpretazioni offerte. Un’analisi più attenta del Sal. 41 porta alla conclusione che l’ambiguità sintattica, in particolare, è un espediente stilistico deliberato e, di conseguenza, fin dall’inizio si pone un problema di comprensione e di adattamento.

Corinne Lanoir, Mangiare e bere: un’attività teologica

Il cibo e i pasti occupano un posto molto importante nell’Antico Testamento: rappresentano una parte fondamentale della vita quotidiana, dove si formano e si sciolgono relazioni di ogni tipo, dall’ospitalità alla violenza. Sono anche un mezzo attraverso il quale le persone vengono incluse o escluse da un gruppo e costituiscono uno dei momenti chiave nella costruzione di un’identità. Luoghi di felicità e di conflitto, spontanei o preparati con cura, rivelano l’ambivalenza della vita quotidiana. Mentre a volte mostrano e denunciano gli abusi di potere, i pasti possono anche essere una promessa di gioia e di giustizia, come memoria e manifestazione di un Dio che nutre e libera. Girando fra i tavoli dove le donne invitano o sono invitate si scoprono strategie diverse di presa di potere, contestazione o integrazione.

Luca Mazzinghi, «Il giusto viene ripagato sulla terra». Prov. 11,31 tra linterpretazione di Filippo Melantone e lesegesi contemporanea

In questo articolo viene affrontato il tema dell’esegesi di Prov. 11,31 alla luce del commento al libro dei Proverbi pubblicato nel 1555 da Filippo Melantone, da poco disponibile in traduzione inglese. Nella traduzione latina offerta da Melantone, Prov. 11,31 è così riportato: cum iustus in terra persolvat, quanto magis impius et peccator? Il commento melantoniano interpreta questo proverbio alla luce dell’idea della retribuzione, ma anche di quella della provvidenza divina. La seconda parte di questo studio mette in evidenza la comprensione di Prov. 11,31 nella prospettiva aperta dell’esegesi contemporanea, in particolare all’interno del dibattito iniziato da K. Koch circa la presenza o meno nel libro dei Proverbi di un nesso tra azione e sue conseguenze (Tun – Erghen – Zusammenhang). La prospettiva propria dell’esegesi contemporanea viene così messa a confronto con quella melantoniana. Infine, lo studio affronta il tema della teologia della croce, alla luce della quale Melantone legge questo proverbio, come del resto l’intero libro. L’articolo si chiude con alcune considerazioni circa l’attualità di questo proverbio biblico.

Paolo Naso, Corridoi umanitari, tra diaconia politica e sussidiarietà

La sfida che sta di fronte alla diaconia delle chiese evangeliche consiste nel trovare la propria postura di fronte al principio costituzionale di sussidiarietà che, alla luce delle scelte di questi anni, si può interpretare in termini assai diversi e persino conflittuali. In coerenza con la critica alla «surroga» delle funzioni statali nella gestione dei servizi e del welfare, più volte espressa dal mondo evangelico, non deve esprimersi come sottrazione del ruolo e delle risorse del soggetto pubblico ma come interazione sinergica e aggiuntiva a sostegno dei soggetti più deboli e, nel caso specifico, dei migranti e dei richiedenti asilo.

Eric Noffke, I Enoch: un baluardo o un ponte tra il giudaismo e l’ellenismo?

Se oggi si dà per acquisita l’ellenizzazione della Giudea già da prima dello scoppio della rivolta dei Maccabei, si discute ancora quanto questa sia stata profonda e quali fasce della popolazione abbia riguardato. Studiando alcuni brani del Primo Libro di Enoc si può raccogliere la testimonianza di un gruppo ebraico la cui teologia, risalente all’epoca persiana e alternativa a quella espressa nella Torah mosaica, non sembra essere né interessata al confronto con la cultura greca, né da essa influenzata. Gli invasori macedoni vengono percepiti, dall’inizio della loro presenza in Giudea (fine iv secolo a.C.) fino all’epoca dell’arrivo dei romani alla fine del i secolo a.C. soltanto come uno dei vari imperi che hanno occupato e oppresso Israele, annunciandone il giudizio e la distruzione alla fine dei tempi, insieme alla classe dirigente ebraica al potere a Gerusalemme.

Yann Redalié, Gesù profeta (Luca 4,16-30)

Se il genere vangelo è paragonabile alla biografia, J.-N. Aletti ci ricorda che le biografie, allora, erano giustificate dall’ampio riconoscimento del valore del protagonista: condottiero, filosofo, oratore – uomo illustre. Per questo, la sfida per il narratore del vangelo è mostrare che il valore salvifico e unico di Gesù, nelle sue azioni e nel suo insegnamento, non è contraddetto dalle sofferenze patite e dalla morte ignominiosa sulla croce. Come interpretare il contrasto tra il seguito di folle durante il suo ministero e la fine infamante, abbandonato per- sino dai suoi? Luca si riferisce alla figura del profeta, la cui sorte, malgrado un ampio riconoscimento, è di essere rifiutato dai suoi. Nella predicazione inaugurale di Gesù a Nazareth (Luca 4,16-30), il compimento della profezia dell’inviato e della sua missione di liberazione secondo Is. 61,1 s. è, prima di tutto, proclamato «oggi» da Gesù, poi precisato nelle sue modalità, riferendosi all’intervento profetico fuori da Israele di Elia, che permette alla vedova di Sarepta di affrontare la carestia, e di Eliseo, che guarisce dalla lebbra Naaman il Siro. Gesù profeta, anche «oltre confine» come i due grandi profeti dell’antica alleanza, viene rifiutato dalla gente della sua patria e la sua vita minacciata fin dall’inizio del suo ministero.

Elisabetta Ricci, Il «volto di Dio»: espressione antica che attraverso i secoli vive nella preghiera

Le espressioni legate al «volto di Dio», dalle origini molto antiche e diffusa- mente utilizzate nell’ambito dell’Antico Vicino Oriente, possono colpire all’interno della Bibbia, eppure sono ampiamente presenti nei testi biblici, tra cui il Libro dei Salmi. Nella maggior parte delle ricorrenze esaminate in questo Libro, che rappresenta un testo fondamentale di preghiera, prevale l’aspetto positivo di favore nei confronti di coloro che confidano in Dio. Queste espressioni, infatti, mostrano la «presenza» di Dio che entra in relazione con l’uomo offrendogli aiuto, protezione e vita.

Sergio Rostagno, Bibbia e dogma

L’articolo sottolinea l’unità del messaggio biblico intero e del «dogma» cristiano. La chiave di questo discorso risalta anche nella ricerca teologica di Martin Lutero. Per esempio, nel confronto tra Giovanni il Battista e Gesù. Lutero tratta il popolo dell’Antico Testamento come vittima cui si annuncia la liberazione. Infine, l’articolo si riferisce all’attualità politica. La democrazia, sulla scia del messaggio religioso, rende ragione di un mondo da salvare da sprechi e as- soluti che rischiano di portare alla rovina del genere umano. Bibbia, dogma e attualità indicano un territorio comune. Sono i filoni di un discorso che si giova anche degli apporti del docente cui è dedicato questo fascicolo della rivista.

Jean Louis Ska, «Scruta bene le Scritture» piuttosto che la tradizione. I caraiti, precursori dei Riformatori?

Accanto alla scuola di esegesi rabbinica più conosciuta, quella del Midrash, della Mišnah e del Talmud, e spesso chiamata scuola rabbanita, esiste una scuola più discreta, quella dei caraiti. Vi sono molti punti oscuri a proposito della sua origine, però le sue caratteristiche sono abbastanza conosciute. Nelle discussioni, i caraiti si distinguono dai rabbaniti nel loro ricorso alla Scrittura piuttosto che alle opinioni dei rabbini. I caraiti sono anche i primi interpreti ebrei ad avere scritto veri commentari delle Scritture. Dopo un breve riassunto sulla questione dell’origine del caraismo, presentiamo alcuni esempi della loro esegesi: Gen. 11,32: Tera era deceduto quando Abramo riceve la sua chiamata in Gen. 12,1-3? Gen. 12,17-19: chi avvisa il faraone che le piaghe che lo colpiscono sono un castigo divino perché ha preso Sara nel suo harem, e che Sara è moglie e non sorella di Abramo? Gen. 18,8: dove sono le focacce che Abramo ha chiesto a Sara di preparare? Gen. 39: come integrare la storia di Tamar e Giuda nella storia di Giuseppe? L’esegesi caraita ha avuto un grande influsso, anche sui suoi avversari che hanno dovuto usare gli stessi metodi per rispondere alle loro critiche.

Jean Louis Ska, “Read the Scriptures Well” Rather than Tradition. Are the Karaites to Be Considered as Precursors of the Reformers?

Lothar Vogel, L’Antico Testamento nell’epoca della neologia: Johann Salomo Semler e Johann Joachim Spalding

Questo articolo illustra la lettura teologicamente «liberale» dell’Antico Testamento adottata da Johann Salomo Semler e Johann Joachim Spalding al tempo del re Federico II di Prussia. La necessità di un tale approccio fu dovuta alla decostruzione del concetto spazio-temporale del mondo stabilito dal canone biblico. Entrambi i teologi si focalizzano sui testi sapienziali e profetici, adatti a interpretazioni moralistiche o interiorizzanti. L’idea della «storia della salvezza», d’altra parte, entra in crisi a causa della trasformazione illuministica del concetto di storia. Infine, il modo in cui entrambi continuarono a comunicare luoghi comuni e pregiudizi antisemiti resta ancora oggi un monito per ogni attività teologica e omiletica