abstract vol 74 : 3-4
Amélé adamavi-aho ekué, Verso una teologia interculturale: implicazioni culturali, teologiche, etiche e pastorali per l’unità della chiesa
La chiesa è una, e al tempo stesso plurale. È su questa dialettica fondamentale per il cristianesimo che riflette l’autrice. Partendo da una lettura originale di Efesini 2,19 e 17, pone la questione del contributo della teologia interculturale alla riflessione sull’identità cristiana all’incrocio delle culture. Come rendere trasparenti le dinamiche fra le interpretazioni culturali soggettive e la validità universale del cristianesimo. L’attenzione è rivolta alla teologia interculturale come relazione con le ferite, proponendo una rilettura della salvezza, fra morte e risurrezione di Cristo, in collegamento con le esperienze traumatiche vissute da migranti, rifugiati, vittime di violenze. Una simile teologia andrà intesa come impegno pratico, pastorale, per un discorso di guarigione che non ignora la ferita e la vulnerabilità, ma mira a integrarle nella prospettiva di una vita trasformata. Il contributo della teologia interculturale di fronte ai conflitti normativi affronta questioni etiche di morale individuale e sociale: il modo di intendere la famiglia e il matrimonio, la sessualità e i rapporti fra uomini e donne, le questioni bioetiche legate a inizio e fine vita, la giustizia sociale, etnica e climatica, la violenza e la pace. La caratteristica ecumenica della teologia interculturale riporta al centro della riflessione la questione di come intendere l’unità della chiesa e quali vie perseguire per raggiungerla.
Amélé adamavi-aho ekué, Towards an Intercultural Theology: Cultural, Theo- logical, Ethical and Pastoral Implications for the Unity of the Church
The Church is one, and plural at the same time. This is the fundamental dialectics for Christianity considered by the Author. Starting from an original interpretation of Ephesians 2, 19 and 17, she questions what contribution intercultural theology gives to the reflections on Christian identity vis-à-vis the crossing of cultures: how the movements between subjective cultural interpretations and the universal validity of Christianity can become transparent. Attention is drawn to intercultural Theology as a relationship with wounds, offering a new interpretation of salvation, between the death and resurrection of Christ, in connection with the traumatic experiences suffered by migrants, refugees and victims of violence. This kind of theology will mean a practical, pastoral commitment towork toward healing, which does not ignore wounds and vulnerability, but aims at inserting them into the perspective of a transformed life. Intercultural Theology faces normative conflicts dealing with ethical problems related to individual and social morality: what people mean by family and marriage, sexuality and the relationship between men and women, bioethical questions connected with the beginning and the end of life, social, ethnic and climatic justice, violence and peace. The ecumenical feature of intercultural Theology brings to the centre of the discussion the question of what is meant by the unity of the Church which path should be followed in order to reach it.
Paolo Naso, Valore sociale e strategie di integrazione nelle comunità di fede
Più che un obiettivo, l’integrazione è un processo che richiede la partecipazione attiva di diversi attori – immigrati, autoctoni, società civile, le istituzioni – come pure investimenti, verifiche, controlli, adattamenti e obiettivi precisi. In questo senso, l’integrazione è intrinsecamente bilaterale e costituisce un’alter- nativa precisa all’assimilazione o alla ghettizzazione e a un multiculturalismo statico. Se l’integrazione è il vettore virtuoso di ogni società multiculturale, es- sa costituisce un punto preciso di orientamento anche per le comunità di fede. Le comunità di fede degli immigrati o coloro a cui si rivolgono possono giocare un ruolo importante per sostenere questa prospettiva come, all’opposto, pos- sono impedirla promuovendo la costruzione di «gusci etnici» sostanzialmente destinati all’estraniamento sociale. Le linee guida dell’Unione europea tracciano un percorso di integrazione che si può «tradurre» nel contesto delle comunità religiose. Una serie di «buone pratiche», alcune delle quali sono praticate anche in Italia, dimostrano la solidità di questo approccio che è stato significativamente applicato nel contesto delle chiese protestanti italiane, che hanno adottato la strategia interculturale nota come «Essere chiesa insieme». Sia in termini di politiche nazionali sia nel contesto più specifico dei rapporti con le comunità di fede, in Italia come in altri paesi europei, manca un approccio mirato a migliorare il ruolo delle comunità di fede an- che nei percorsi di integrazione. L’effetto di questa criticità è la dispersione di una risorsa sociale preziosa in termini di coesione sociale e welfare organizzato dalle varie comunità di fede. Pertanto è ancor più essenziale che almeno queste siano consapevoli della loro funzione e del loro potenziale nell’indicare e incoraggiare processi strategici di integrazione.
Paolo Naso, Social Value and Strategies of Integration in Faith Communities
More than an objective, integration is a process that requires the active participation of different actors − immigrants, nationals, civil society, institutions − as well as investments, verifications, adjustments and precise objectives. In this sense, integration is intrinsically bilateral and constitutes a precise alternative to assimilation or a ghettoizing and static multiculturalism. If integration is the virtuous vector of every multicultural society, it constitutes a precise point of orientation also for faith communities. The faith communities of immigrants or those to whom they are addressed can play a major role in supporting this perspective, just as, on the contrary, they can hinder it by promoting the construction of «ethnic shells» substantially destined to social strangeness. The European Union guidelines outline an integration path that can be «trans- lated» in the context of religious communities. A series of «good practices», some of which are also carried out in Italy, attest to the solidity of this approach that has found significant application in the context of Italian Protestant churches that have adopted the intercultural strategy knows as «Being church together». Both in terms of national policies and in the more specific context of relations with faith communities, in Italy as well as in other European countries, there is a lack of a secure and stable approach aimed at enhancing the role of faith communities also in integration paths. The effect of this criticality is the dispersion of a precious social resource in terms of social cohesion and welfare organized by the various faith communities. All the more, therefore, it is essential that at least they are aware of their function and their potential in indicating and sup- porting strategic integration processes.
Yann Redalié, «Ha abbattuto il muro della separazione, l’inimicizia nella sua carne». Rileggere Ef. 2,14 nell’età dei muri.
Il contesto di questo versetto (Ef. 2,11-22) risuona nelle problematiche interculturali con un lessico che parla di muro, di cittadinanza, di identità, di un percorso che va dall’esclusione all’integrazione in una nuova cittadinanza con- divisa. Il transito è stato realizzato dall’opera di «Cristo nostra pace», che ha ab- battuto il muro di separazione, dell’odio. Il percorso si conclude nell’attività del cantiere dell’«uomo nuovo», che costruisce la chiesa dei concittadini come dimora di Dio. Ma da questo cantiere non potrebbero forse uscire anche nuovi muri? L’autore sottopone il versetto alla prova del contesto attuale, definito come l’«età dei muri». Tre quarti dei muri esistenti sono stati innalzati dopo il 1989, data simbolo per la caduta del muro di Berlino, che sembrava, allora, segnare la fine di un’epoca e l’inizio di un tempo di apertura, di libera circolazione delle persone. Ma ci si può anche chiedere se l’epistola stessa, nella sua parte esortativa, non edifichi una nuova separazione tra i pagani e i destinatari della lettera agli Efesini, ex pagani diventati cristiani. La nuova identità, offerta a tutti si esprime nell’esortazione (Ef. 4,17-5,20) ad assumere comportamenti opposti a quelli dei pagani. Sono loro, i pagani, che per contrasto negativo, permettono di definire il credente esortato a rivestire l’uomo nuovo. La chiamata ricevuta da Cristo, che fa cadere il muro della separazione, sarà intesa al punto di impedire che la nuova identità sia creatrice di nuovi muri?
Yann Redalié, «He Hath Broken down the Middle Wall of Partition between Us, the Enmity in His Flesh». Re-interpreting Eph. 2,14 in the Age of Walls.
The context of this verse (Eph.2,11-22) resounds in the intercultural issues with a wording which talks of wall, citizenship, identity, and of a route which goes from exclusion to a new shared citizenship. The journey has been accomplished by the work of «Christ our peace», who broke down the wall of separation and hate. The route is completed in the activity of the workshop of the «new man», who builds the Church of fellow-townspeople as the home of God. However, could new walls come out of this workshop? The Author submits this verse to the trial of the present context, which is called «the age of wall». Three quarters of the existing walls were built after 1989, a symbolical date, because every- body thought that the fall of the Berlin wall would mark the end of an age and the beginning of a new age of open-mindedness, of free circulation of people. However, one may also wonder if the epistle itself, in its exhortative part, does not build a new separation between pagans and the addressees of the letter to the Ephesians, former pagans who have become Christians. The new identity, which is now offered to everybody, is expressed in the exhortation (Eph. 4,17- 5,20) to behave the opposite way of the pagans. It is the pagans who, for a negative contrast, make it possible to define the believer, who is exhorted to put on the new man. Will the calling received from Christ, which has broken down the partition wall, be understood as a way to prevent the new identity from building new walls?
Osvaldo Costantini, L’immigrazione evangelica dal Corno d’Africa
Analizzare l’immigrazione protestante dall’Eritrea e dall’Etiopia presuppone la conoscenza della storia degli evangelici dei due paesi. In questo articolo si ripercorrono le tappe fondamentali di una vicenda incominciata con l’insediamento di una missione svedese nel 1866. Da allora il protestantesimo, pur avendo dovuto affrontare momenti di dura repressione, è notevolmente cresciuto, mostrando caratteristiche decisamente autoctone. Oggi l’Etiopia è tra i paesi africani con il più alto numero di protestanti in termini assoluti, pur rimanendo questi una minoranza rispetto agli islamici e agli ortodossi. Le chiese pentecostali, una volta radicate in Europa in seguito all’emigrazione, grazie anche al loro marcato dinamismo in madrepatria riescono a sviluppare un linguaggio religioso capace di aiutare i migranti a dare un senso alle loro vite, ad esempio coinvolgendoli nella missione verso la nuova realtà che li circonda.
Osvaldo Costantini, Protestant Immigration from the Horn of Africa
In order to analyse Protestant immigration from Eritrea and Ethiopia, it is necessary first to know the history of Protestants in the two countries. This article goes through the fundamental phases of a history, which began with the settlement of a Swedish mission in 1866. From then on, Protestantism, in spite of moments of hard repression, has increased remarkably, showing markedly indigenous features. Nowadays, Ethiopia is among the African countries with the highest number of Protestants in absolute terms, even though they are still a minority in comparison with Moslems and Orthodox Christians. Pentecostal Churches, once they put roots in Europe following emigration, thanks also to their emphasized dynamism in the home country, are able to develop a religious language which can help migrants give a sense to their lives, for instance involving them in the mission toward the new reality around them.
Maria Chiara Giorda, Sara Hejazi, In between. Giovani musulmani ed eventi pubblici: il caso di Torino
Si analizzano in questo articolo i casi torinesi di “Moschee aperte” e “Iftar Street”, per riflettere sulle trasformazioni e le innovazioni introdotte da gruppi organizzati di giovani di fede musulmana, il cui intento è quello di sensibilizzare e familiarizzare la cittadinanza − attraverso il linguaggio e le modalità tipici dell’event management e dell’event marketing − su una confessione religiosa che, da un punto di vista istituzionale, rimane ai margini della vita cittadina. Il successo delle due iniziative sta nella capacità di attraversare modalità e confini, per rendere fruibile a chiunque un evento rituale come la rottura del digiuno nel mese di Ramadan, dando visibilità a una comunità normalmente invisibile.
Maria Chiara Giorda, Sara Hejazi, In between. Young Moslems and Public Events: The Case in Turin
This article analyses the cases of “Open Mosques” and “Iftar Street” in Turin, in order to think over the transformations and innovations introduced by organized groups of young Moslems, who aim at making the citizens aware and fa- miliarize them – through the language and the modalities which are typical of Event Management and Event Marketing – with a religious confession which, from the point of view of institutions, remains at the margins of city life. The success of the two initiatives is due to the crossing of modalities and borders, in order to make it possible for anyone to enjoy a ritual event like the breaking of the Ramadan fast, giving thus visibility to a community that is usually invisible.
Alessia Passarelli, Una generazione sul ponte. I giovani evangelici e l’immigrazione
Chi sono i giovani evangelici in Italia? In cosa credono? Qual è la percentuale di giovani evangelici con un background immigrato? L’articolo analizza il contesto in cui i giovani italiani si muovono e presenta l’universo protestante attraverso i dati di una ricerca, la prima nel suo genere compiuta in Italia, sui giovani evangelici. Emerge la fotografia di una generazione che, diversamente dalle precedenti, si concepisce e si definisce come interculturale. La coscienza di questa dimensione, tuttavia, non annulla tradizionali fattori identitari che, talvolta, vengono rivendicati nel quadro di un’appartenenza confessionale consapevole e forte. Si affronta inoltre la questione delle sfide e delle difficoltà della trasmissione della fede alle nuove generazioni.
Alessia Passarelli, A Generation on the Bridge. Young Protestants and Immigration
Who are the young Protestants in Italy? What do they believe in? What is the percentage of young Protestants with the background of an immigrant? The Article analyses the context in which young Italians move, and offers a view of the Protestant universe through the data of a research, the first of its kind carri- ed out in Italy, on young Protestants. What comes out is the picture of a generation that, contrary to previous generations, sees and defines itself as intercultural. Being aware of this dimension, however, does not nullify traditional identity factors, which are sometimes laid claim to in the framework of a conscious, strong confessional belonging. The question of the challenges and difficulties of handing over faith to new generations is also analysed.